Che cosa pensiamo quando facciamo acquisti? Se vi dicessi che non stiamo davvero comprando ma compiendo dei… “rituali”?
Prodotti, servizi e marchi che vengono accostati a rituali o superstizioni sono molto più memorabili e ingaggianti di quelli che non hanno associazioni di questo tipo. In un mondo sempre più in continuo movimento, caotico e disorientante, cerchiamo tutti sicurezze e stabilità. I rituali che sono associati ad alcuni prodotti ci danno l’illusione di comfort e di appartenenza che ci tranquillizza e ci fa stare bene.
Non si sente un senso di sicurezza nel sapere di far parte, poniamo, della comunità Apple o della comunità Netflix – nel sapere che ci sono milioni di altre persone che utilizzano i loro AirPods ogni mattina in metropolitana o sul treno, o che preparano una nuova lista di serie tv da godersi la sera, come fate voi? Per non parlare del saluto tra bikers che ci potremmo trovare a scambiare e che ci farebbe sentire parte della “tribù” anche se avessimo comprato l’Harley giusto 2 minuti prima.

In un mondo sempre più standardizzato, sterilizzato e omogeneizzato (quanti supermercati avete visitato con gli stessi prodotti esposti – stesse verdure surgelate, stessi dentifrici, shampoo, sughi pronti o giocattoli?), i rituali (tra le altre cose, come colore, packaging, ecc) ci aiutano a distinguere una marca dall’altra. E non appena troviamo un rituale – o una marca – che ci piace, non trovate una grande tranquillità avendo una particolare miscela di caffè da macinare ogni mattina, uno shampoo firmato con un profumo familiare, o una marca preferita di scarpe da ginnastica che compriamo anno dopo anno? Possiamo addirittura dire che c’è qualcosa di così attraente in questo senso di stabilità e di familiarità che molti consumatori hanno un atteggiamento quasi religioso di fedeltà alle marche e ai prodotti preferiti.
D’altronde è per questo che le aziende “semplici” vogliono diventare dei veri brand, perché se fino a quel momento si hanno dei “semplici” clienti, diventando brand si acquisirebbero dei clienti-adepti che, oltre a comprare senza indugi i propri prodotti si trasformerebbero in veri e propri “evangelisti” e “proclamatori di fede” nei confronti della marca, professando e convertendo altri alla loro stessa passione (un po’ blasfemo forse ma il concetto è questo).
In effetti, acquistare un prodotto è più spesso un comportamento ritualizzato che una decisione cosciente. Prendete le creme per la pelle. Funzionano davvero quelle creme antirughe, che eliminano la linea del sorriso e mandano in esilio le zampe di gallina, che fanno l’occhiolino a ogni donna (e sempre più spesso anche agli uomini) dagli espositori delle farmacie? Se interrogate molte consumatrici ammettono che le creme antirughe sono inutili – ma periodicamente tornano comunque in farmacia per acquistarne l’ultimo balsamo miracoloso, quello con la formula segreta più recente, più sexy e complessa. È uno schema ormai scontato e prevedibile in cui ci ostiniamo a cascare. Dopo un po’ di settimane, si guardano con disappunto nello specchio, ne concludono che non funziona e vanno in caccia di un’altra formula magica. Perché? Semplicemente perché è un rituale che loro – come le loro madri e le loro nonne prima di loro – hanno sempre seguito.
Tra i rituali che preferisco ci sono senz’altro i rituali alimentari. Si possono trovare ovunque: dal modo in cui gli italiani “scuotono” il pandoro per ricoprirlo di zucchero a velo, agli americani che rompono l’osso a forcella dopo il pranzo del Ringraziamento, a come si mangiano i biscotti Oreo.

A proposito di biscotti Oreo…
Alcuni amano “smontare” il biscotto, separare e leccare la parte bianca centrale per poi mangiare i due wafer. Altri preferiscono invece tenerlo tutto intero e intingerlo in un bicchiere di latte freddo.
Piccolo aneddoto: sapendo quanti amano il rituale del mangiare gli Oreo con il latte, l’azienda che produttrice questi biscotti (Nabisco) ha fatto un accordo con i produttori della campagna pubblicitaria “Got Milk”, celebre campagna pubblicitaria negli States che incoraggia il consumo di latte dal 1993 per incentivarne il consumo e quindi la vendita.
Anche Mike Faherty, Senior Category Business Director per Oreo conferma quanto osservato: «L’Oreo non è solo un biscotto, è un rituale. Intingere i biscotti Oreo nel latte fa parte del tessuto americano».
Questo tipo di approccio da parte dei consumatori pone subliminalmente il prodotto su un altro livello rispetto ai competitors senza rituale. Come a voler dire “gli altri sono biscotti, questi sono Oreo”.
Vogliamo parlare anche dei “nostri” Baci Perugina? Il posizionamento del brand è fortissimo e il “pacchetto” dei valori di marca (amore, desiderio, romanticismo, ecc) è talmente incastonato nella mente di ognuno di noi che il prodotto non può più liberarsene nemmeno se ne avesse desiderio. Se una mia amica mi regalasse dei Baci ammetto che mi farei più di un domanda per capire se “davvero ci sta provando?”.
Esistono altre centinaia di esempi e spesso ne siamo vittime inconsapevoli, altre volte invece ne siamo proprio consapevoli e ne difendiamo il rituale perché è ormai parte di noi, ci fa stare bene e non ne potremmo più fare a meno.
Morale: per rendere unico e memorabile il proprio brand, prodotto o servizio possiamo cercare di creare un rituale che lo contraddistingui e gli doni quel fascino inimitabile che lo renda immortale e insostituibile.
E voi di quale rituale siete vittime? Quale prodotto o brand vi ha “catturati”?
Il mio è quello di incidere il sorriso nei Sofficini Findus col bordo della forchetta.