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Il brand del lusso: generato per il consumatore o dal consumatore?

Nel mondo del lusso, prodotto, marca, desiderio e comunicazione sembrano fluire sulla stessa onda. La domanda sorge quindi spontanea: i brand del lusso, sono costruiti per il consumatore o dal consumatore? A differenza di altri settori ancora nuovi e poco esplorati – vedi il settore e-commerce o dei detersivi – nel lusso il ruolo della marca non ha una lettura univoca e universalmente condivisa. Per trarre le conclusioni (spesso peraltro soggettive), è utile rievocare alcuni concetti primordiali, però basilari per la comprensione di questo settore.

Per affrontare al meglio questo e numerosi altri argomenti è necessario dare al nostro lettore dei concetti chiave dai quali possa poi liberamente trarre le proprie conclusioni.

Approfondiamo al meglio quanto appena detto, iniziando con la definizione di “lusso proprio” egregiamente espressa da Kapferer e Bastien nel libro “The luxury strategy. Break the rules of marketing to build luxury brands”.

Il testo recita:

“My luxury is a very personal revelation about one’s secret dreams, something rare, highly emotional but not inaccessible, if only people had the courage or will do it”.

I due autori, ci innescano subito un dubbio fondamentale: perché si parla di lusso proprio e non di lusso nella sua accezione socio/economica?

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Qual è la differenza fra lusso economico/sociale e lusso proprio?

La risposta è celata nella prima frase: rivelazione personale di un sogno segreto.

Rivelare viene dalla composizione delle parole latine RE- dietro et velum – velo: dietro il velo, il velo è l’inconscio del consumatore, quel breve momento posto tra il sogno e la veglia, in cui vorresti che il sogno fosse reale e ti accorgi invece che non lo è. Acquistare un bene pregiato è il modo reale di concretizzare il desiderio. Il sogno è diventato reale. Ciò che ho desiderato e ottenuto è mio, il mio lusso è l’aver avuto modo di poterlo comperare.

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Il lusso nella sua accezione economico/sociale rappresenta la tendenza dei consumatori nel mercato a ricercare beni sempre più esclusivi e pregiati, e la loro predisposizione a pagare un sovrapprezzo elevato per un prodotto che risulti strettamente connesso ai concetti di esclusività, qualità, difficoltà di reperimento e rarità.

Perché quindi è così importante parlare di lusso proprio?

Perché data la vastità dei gusti e dell’offerta non è possibile stabile un livello qualitativo e quantitativo unico né una singola chiave di lettura che ci permetta di definire un qualcosa come il “the best”. Da questa natura profondamente mutevole e personale derivano notevoli difficoltà, non soltanto nel definire in maniera univoca il significato della parola lusso, ma anche nel creare regole di marketing fisse, prodotti e brand di successo in questo mercato. Lascerei questa discussione ad altra sede, ci basti al momento sapere che il lusso ha un’accezione estremamente personale, e che può identificarsi con il concretizzarsi di un sogno legato all’acquisto di un bene di assoluto pregio.

Cosa ha realmente comperato il consumatore?

Un Luxury Brand crea nella mente del consumatore un’esperienza. Un marchio non si acquista, lo si vive. Il negozio (ma ultimamente anche l’e-commerce ci sta provando) è il luogo in cui il cliente vive delle emozioni, accumula delle sensazioni. L’acquisto deriva dalla necessità di possedere un qualcosa che richiama esperienza, cura e dettaglio.

Devo(!) rivivere le sensazioni che ho provato.

L’acquisto diventa voglia di evidenziare la propria posizione sociale o la propria ricchezza, necessità di raggiungere una sensazione di appagamento e di realizzazione, o ancora, di manifestare la propria dedizione e la propria approvazione nei valori e nell’estetica espressi dal brand.

In particolar modo nella luxury industry, il brand rappresenta tutto il mondo che lega il consumatore all’esperienza, è un concetto forte, è un valore forte, perché il consumatore non acquista soltanto un oggetto ma è consapevole di portare con sé una serie di servizi pre e post vendita tesi a una sempre più forte fidelizzazione.

Il vero consumatore del lusso sceglie il brand per i valori che esso rappresenta, perché lo stilista o il designer è riuscito a rendere accessibile ciò che era raro, il tatto l’olfatto la vista sono stati stimolati e coinvolti.

Ecco perché un brand di lusso racchiude in se una storia, un’etica, un’estetica, un senso di innalzamento al divino, perché il cliente possa riconoscersi e fidelizzarsi inconsciamente. È il fascino intrinseco di possedere qualcosa di esclusivo, succulento, opulento.

La cosa strana e certamente intrigante è che il consumatore, la maggior parte delle volte, sembra non esser chiamato a scegliere l’oggetto ma, paradossalmente, è come se fosse spinto a scegliere il brand in cui si identifica meglio.

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Immagine tratta da una scena del film “I love shopping” dove la protagonista subisce il fascino dei manichini che la… chiamano.

Facciamo un esempio, Louis Vuitton non parla mai dei suoi prodotti nelle pubblicità ma dell’idea del viaggio, rendendo in tal modo il cliente un globe trotter e allo stesso tempo un viaggiatore del mondo e dell’anima. Si sceglie l’idea del viaggio, la si acquista e ci si identifica quale “viaggiatore Vuitton”. Caso contrario ma troppo attuale per essere studiato appieno è quello di Gucci, che dopo una ristrutturazione completa del marchio sta puntando sulla produzione di oggetti iconici che stuzzichino sorpresa e interesse. Dolce e Gabbana invece disegna abiti meraviglianti ma punta sul brand elevando addirittura l’interesse del consumatore a temi sociali ed etici e, in alcuni casi, puntando al quotidiano.

In definitiva è necessario per un marchio di lusso creare un brand forte, in cui le persone possano identificarsi, in cui allo stesso tempo possano ritrovare valori ed estetica propri. Viene lasciato al consumatore il gusto di poter leggere il brand e interpretarlo a proprio piacimento ma non la possibilità di “costruirlo”. Il consumatore può distaccarsi da ciò che vede, ma non necessariamente da ciò che guarda, perché se l’osservatore è attento ed esperto il suo interesse tornerà nuovamente là dove la volta precedente ha trovato le emozioni o i valori che sta cercando.

Se da un lato è il brand a imporsi con i suoi colori e la sua immagine coordinata sul mercato, è altrettanto vero che deve essere il consumatore, pur sempre in maniera autoindotta, a interpretarne valori e a ri-costruirne l’identità.

La strategia degli anni 90 – di imporsi al mercato con un prodotto esclusivo – non ha funzionato, il consumatore non si è fatto affascinare dal solo prodotto ma dal brand, dal paradigma di un’azienda il cui marchio incarna valori e ideali. È stato indirettamente il consumatore a dare questa idea all’industria.

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Ma d’altra parte, è passato circa un secolo da quanto Henry Ford aveva detto che il «cliente avrebbe potuto scegliere qualsiasi colore per la sua automobile, purché fosse stato nero».

Figlia del suo tempo, la macchina era, in effetti, prodotto unico e pertanto espressione stessa del brand Ford. Ad oggi la globalizzazione e la ricerca di una soluzione che possa essere unica e uguale nel mondo ha dato ampio adito alla necessità di creare una diversificazione basata non più su ciò che è molteplice, cioè i prodotti, ma su ciò che è unico: il brand.

Una pubblicità fatta di simboli, metafore, allegorie…

La società moderna ci ha insegnato che acquistando un determinato prodotto si può raggiungere una sfera superiore, realizzare un sogno in un universo fatto di esperienze, percezioni, vissuti, grazie a ciò che l’”universo lusso” offre.

Per concludere torniamo un attimo alla maestosità della definizione con cui apro questo articolo: si parla di “coraggio”, un termine di certo utilizzato nel valore emozionale dello stesso, come un movimento che viene dal cuore. In quest’accezione non sembra più tanto strano pensare che un brand non sia altro che il frutto di un riflesso partorito dalla mente umana, elaborato in base alla convessità della lente che portiamo, il che rende l’immagine finale arbitraria e personale.

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