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Il brand fa l’abito e il monaco

“Nel mondo ci sono due categorie: chi crede che l’abito non faccia il monaco e chi invece crede di si. Io mi sono sempre schierato tra quest’ultimi.”

Quando ho visto ieri per la prima volta la notizia dell’esperimento di McDonald’s ho esclamato “eureka”, finalmente un esempio concreto per parlare dell’efficacia della brand identity e della sua subliminale influenza. Per chi non sapesse a cosa mi riferisco sto parlando del tentativo di McDonald’s di provare a cambiarsi d’abito per sfidare alcuni dei pregiudizi che accompagnano il proprio brand.

 

Che sia stato un evento di marketing promozionale in vista di Expo, o che sia stato un semplice scherzo, occultare il marchio McDonald’s, puntare su un naming differente (Single Burger) e cambiare l’identità della location con un aspetto bistrot e impiattamenti più raffinati ha fatto cambiare idea sulla qualità del cibo ai malcapitati che per due giorni erano convinti di essere entrati in una hamburgeria gourmet.

 

L’abito fa il monaco quindi? Per i brand si

Questo dimostra che una brand identity piuttosto che un’altra possa evocare sensazioni e impressioni discordanti tanto che, a parità di prodotto, la reazione cambia nettamente.

Pensate anche al caso Coca-Cola che vendendo la bibita nella versione light vedeva la maggior parte degli acquisti incentrata sul pubblico femminile e si è trovata a dover “inventare” la Zero per andare incontro al pubblico maschile che trovava la prima cola poco “virile”. Qualcuno direbbe «è solo una bibita, mica sto a guardare l’aspetto della bottiglia, il colore o il nome»… ma i dati delle analisi dicono il contrario.

 

“Succede solo da McDonald’s”

 

…no, succede continuamente solo che non ce ne accorgiamo.

 

Brand Strategy Consultant & Brand Identity Designer for Startup & PMI

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